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L'Unione Sarda - 7.11.2007 |
«MIO FRATELLO DESAPARECIDO NEL 1976»
Franca Chisu: il senatore Pallaro ci dica la verità
Antonio era dipendente dell’imprenditore eletto dagli emigrati in Argentina
Giovanni Antonio Chisu, assieme al fratellastro Benjamin, faceva l’operaio in un’azienda dell’industriale italo-argentino Luigi Pallaro, dal 2006 senatore della Repubblica italiana, acclamato dagli elettori del sud America, più d’una volta determinante per le sorti della maggioranza di Romano Prodi. Eletto col centrodestra è poi passato nelle file dell’attuale governo schierandosi col gruppo misto a Palazzo Madama.
Nel 1976 il giovane di Orosei si manteneva agli studi di ingegneria elettronica lavorando nella ditta Egea che produceva materiali elettrici. Già a quel tempo Pallaro, originario di San Giorgio in Bosco nel Padovano, era un imprenditore potente.
A Buenos Aires ricopriva vari incarichi nella comunità degli emigrati e nella Camera di commercio italiana. A lui la madre di Chisu, Lorenza Caboni, originaria di Sassari e morta due anni fa a Buenos Aires, s’era rivolta nel tentativo di sapere qualcosa su quei figli persi nel nulla, senza nessuna spiegazione. Ma il futuro senatore non le lasciò alcuna speranza. «Il signor Pallaro chiese a mia madre quanti altri figli avesse. Mia madre non capì cosa intendesse dirle», ricorda ora Franca Chisu che vorrebbe tanto sapere perché quel fratello brillante negli studi e disponibile verso il prossimo abbia fatto una fine inconfessabile.
Una spiegazione possibile è propria l’attività sindacale che Chisu conduceva in prima linea. Alcuni giorni prima della sua scomparsa, nel luglio del 1976, nella fabbrica di materiale elettrico gli operai avevano scioperato. Protestavano contro il mancato pagamento degli straordinari. Il dubbio che quella manifestazione possa essere all’origine della tragedia di Chisu e del fratellastro quindicenne, nato dal secondo matrimonio della madre rimasta vedova, resta forte.
L’operaio di Orosei sparisce assieme a Benjamin e a un amico ingegnere che lavorava nella stessa azienda. Non solo: nella retata insieme a Chisu vennero sequestrati altri 21 colleghi della Egea. «Cerco qualche testimone che mi possa dire qualcosa, anche se so che ancora adesso c’è molta paura a raccontare le cose del passato», dice Franca Chisu: «Pallaro oggi nelle vesti di senatore della Repubblica forse avrebbe il dovere di darci una risposta sulla fine di mio fratello e di tutti gli altri».
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Ucciso dai militari in Argentina, ma per l’anagrafe è ancora vivo
Dal nostro inviato Marilena Orunesu da Orosei
Desaparecido per i familiari, la Lega per i diritti e la liberazione dei popoli e la questura di Roma. Ma vivo, o presunto tale, per gli atti ufficiali del paese d’origine. «Giovanni Antonio Chisu, nato a Orosei il 5 gennaio 1949 da Giovanni e Lorenza Caboni, trasferito a Bottida il 16 maggio 1952». Il funzionario del Comune di Orosei scorre il registro ingiallito delle nascite, anno 1949, custodito nell’ufficio Anagrafe.
Franca Chisu, tornata dall’Argentina sulle tracce del fratello inghiottito dal nulla negli anni terribili della dittatura militare, si commuove mentre torna indietro a quel 27 luglio 1976, quando Giovanni Antonio Chisu viene visto per l’ultima volta assieme al fratellastro quindicenne Benjamin. Tutti e due scortati dai militari che li hanno prelevati da casa. Destinazione ignota. «Ci fosse stato un decesso ufficiale - spiega Pasquale Masala, responsabile dell’Anagrafe - la comunicazione sarebbe arrivata anche a Orosei. Ma qua non risultano annotazioni. Sicuramente non abbiamo ricevuto nulla, altrimenti l’avremmo registrato».
La spiegazione è ovvia: il governo argentino non ha mai potuto "certificare" che il giovane emigrato sardo è stato sequestrato, torturato e ucciso durante la feroce dittatura militare, al potere tra il 1976 e il 1982. Antonio Chisu è uno dei trentamila - forse più - desaparecidos scomparsi in quegli anni nei centri clandestini di detenzione, nelle fosse comuni o gettati ancora vivi dagli aerei nel Rio della Plata. Probabilmente anche Chisu fece quella orribile fine. Solo perché era un sindacalista e dunque per i militari un "pericoloso sovversivo". In realtà i veri guerriglieri furono solo due, tremila: tutti gli altri sono stati uccisi nel piano di terrore stabilito dalla giunta guidata dal generale Videla che voleva eliminare sistematicamente ogni possibile oppositore.
Tra le migliaia di vittime figurano donne, bambini, uomini di ogni età e stato sociale. Antonio Chisu era uno di quegli innocenti finiti nel calderone del massacro. Ora la sorella Franca è tornata in Sardegna per chiedere giustizia e per restituire la memoria del fratello, dimenticato o sconosciuto persino nel suo paese natale. Il librone con gli atti di nascita di Orosei, anno 1949, viene riposto nell’archivio, senza che i dubbi sulla scomparsa del giovane si diradino neppure un po’.
Per quelle carte, Giovanni Antonio Chisu, partito dalla Sardegna nel 1955 assieme alla madre e alle sorelle Franca e Salvatora per raggiungere il padre emigrato cinque anni prima a Buenos Aires, esiste ancora. Dove, non si sa. Eppure, fuori dall’ufficialità, la sua morte è l’unica certezza di questa drammatica storia. «Era una persona buonissima, aiutava molto gli altri, anche nel lavoro.
Per questo faceva attività sindacale. Gli piaceva lavorare e studiare. Gli mancavano pochi esami per laurearsi in ingegneria. Non stava nella guerriglia. Era una persona pacifica. Antonio è sparito senza un perché. Vorrei che Orosei, dove lui è nato, lo ricordasse. È un tributo che gli voglio rendere ». Franca Chisu, sessant’anni, vedova, madre di quattro figli, non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte del fratello e del fratellastro.
Non si arrende neppure ora, 31 anni dopo. Finora non ha trovato nessuno che le fornisse brandelli di verità, indizi, frammenti di ricordi. La sua memoria si ferma alla testimonianza dei vicini di casa che in un quartiere alla periferia di Buenos Aires hanno visto passare Antonio e Benjamin circondati da un drappello di soldati armati. «Forse li hanno portati in una base militare, poco lontano. Sicuramente li hanno torturati».
Franca Chisu lunedì è tornata a Orosei per la terza volta dopo le visite fatte nel 1991 e nel 1992. Così al sindaco Gino Derosas e all’assessore alla Cultura Silvano Camedda ha potuto esprimere il suo desiderio. «Contiamo di organizzare un convegno con storici e testimonianze. Lo faremo l’anno prossimo e lo organizzeremo per bene», assicurano gli amministratori. Lei li bacia come fossero suoi figli, grata per quell’impegno che strappa al silenzio più cupo una storia tanto tragica da non trovare neppure un requiem ufficiale.
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I casi di Mastinu e Marras. In italia ergastoli per i generali
di Carlo Figari
La recente elezione alla Casa Rosada di Cristina Fernandez Kirchner apre nuove speranze ai familiari dei desaparecidos. La neopresidente, già da senatrice, si è sempre battuta a fianco delle madri e delle nonne di Plaza de Mayo che da trent’anni chiedono giustizia. La mitica Estela Carlotto, presidente delle "habuelas", dal 1977 cerca di ritrovare il nipote Guido partorito dalla figlia Laura poco prima di essere uccisa in un centro clandestino di detenzione. Il neonato fu consegnato a una famiglia di militari e da allora non si è saputo più niente. «Sino a oggi abbiamo rintracciato un’ottantina di "hijos", cioè di figli di desaparecidos, ma pensiamo che siano almeno 500», ha dichiarato Estela Parlotto qualche giorno fa: «Vogliamo ritrovarli perchè si riprendano la loro vera identità e perché possano riabbracciare
la famiglia a cui sono stati strappati. La signora Kirchner ci aiuterà nella nostra missione, ma darà anche impulso ai processi che ovunque in Argentina si stanno riaprendo contro i militari».
EL TANO
In Italia, a Roma, si sono svolti già due procedimenti. Il primo si è concluso nel 2004 con le definitive condanne all’ergastolo per i due generali Guillermo Suarez Mason - morto di recente- e Santiago Omar Riveros,gli spietati comandanti della zona militare della capitale. Severe pene sono state inflitte anche a quattro sottufficiali. Tutti insieme riconosciuti responsabili della morte di otto cittadini italiani, tra i quali gli emigrati di Tresnuraghes Martino Mastinu e Mario Bonarino Marras. Ai due giovani (Mastinu, detto El Tano, era un leader sindacale dei cantieri navale di Tigre) sono state intitolate strade in diversi paesi della Sardegna e il centro sociale di Tresnuraghes «perché tutti i giovani sardi - dice il deputato di Rc, Luigi Cogodi, che fu legale della famiglia Mastinu nei processi romani – conoscano questa tragedia che ha colpito l’Argentina e ricordino il sacrificio dei loro eroici compaesani. Mastinu El Tano fu ucciso solo perché si batteva per un mondo migliore e per i diritti dei lavoratori».
SECONDO PROCESSO
Nel marzo scorso, la Corte d’Assise di Roma ha inflitto l’ergastolo a cinque ex ufficiali accusati del sequestro e della morte di Angela Maria Aieta, Giovanni Pegoraro e la figlia Susanna. Il carcere a vita è stato deciso per Jorge Eduardo Acosta, Alfredo Ignacio Astiz,Jorge Raul Vildoza, Hector Antonio Febres e Antonio Vanek, appartenenti ad un "grupo di tareasa", una sorte di "comando" della Marina: il loro quartier generale si trovava all’Esma, la scuola per sottufficiali nel centro di Buenos Aires dove desaparecidos venivano rinchiusi, torturati e poi eliminati. Per questo processo si attendono gli altri gradi di giudizio, mentre si annunciano future inchieste contro militari argentini.
Resta aperto il problema di come dare seguito alle sentenze. Si discute sui termini per le estradizioni, ma non si esclude che gli stessi militari siano arrestati e processati in Argentina per altri casi di cui si macchiarono.
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