Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Roma
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N. 9241/99 R RG PM
RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO
(artt. 416, 417 c.p.p.)
AL GIUDICE
PER L’UDIENZA
PRELIMINARE
Sede
Il Pubblico Ministero dr. Francesco Caporale
Letti gli atti del procedimento emarginato
iscritto nel Registro Notizie di Reato il 22/6/1999
nei confronti di:
1) MASSERA Emilio Eduardo, nato a Paranà (prov. di Entre Rios) il 19/10/1925 e dom.to in Buenos Aires – Capital Federal (Argentina) Avenida del Libertador 2423, Piso 12 ; difeso d’ufficio dall’avv. Luciana Inga Canonaco, con studio in Roma Via Marianna Dionigi 43
2) ACOSTA Jorge Eduardo, nato a Buenos Aires il 17/5/41 e dom. c/o Escuadrón Buenos Aires de la Gendarmería Nacional de Campo de Mayo , Ruta 8 km. 26 prov. di Buenos Aires (Argentina) ; difeso d’ufficio dall’avv. Salvatore Eugenio Daidone con studio in Roma Via Tolero n. 21
3) ASTIZ Alfredo Ignacio, nato a Mar del Plata (prov. di Buenos Aires) l ’8/11/1951 e domiciliato in Mar del Plata, G.ral Lavalle 3762 ; difeso d’ufficio dall’avv. Roberto De Angelis con studio in Roma Via Cunfida n. 27
4) VILDOZA Jorge Raúl, nato a Rosario (Argentina) il 19/7/1930 LATITANTE ; difeso d’ufficio dall’avv. Paolo Palleschi con studio in Roma Viale Angelico n. 70
5) VAÑEK Antonio, nato a Buenos Aires il 9/8/1924 e dom.to in Buenos Aires – Capital Federal (Argentina), Sucre n.2050, Piso 4° , Dpt. A (oppure: Virrey Loreto 2464, Piso 4° Dpto “A”) ; difeso d’ufficio dall’ avv. Fabrizio Perfumo con studio in Roma Via A. Baldovinetti n. 26
6) FEBRES Héctor Antonio, nato a Buenos Aires il 10/9/1941 e dom.to c/o Prefectura Zona Delta, Lavalle 13, Partido de Tigre, prov. di Buenos Aires (Argentina) ; difeso d’ufficio dall’avv. Flora De Caro con studio in Roma Via Andrea Doria n. 40
imputati
dei reati pp. e pp. dagli artt. 110, 81 cpv., 575 e 577 nn. 3) e 4) in relazione all’art. 61 n. 4) c.p. per avere, agendo di concerto ed in concorso tra loro e con altre persone non identificate, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nell’ambito del “Processo di Riorganizzazione Nazionale” instaurato dalla dittatura militare in Argentina con il “golpe” del 24 marzo 1976, nelle loro rispettive qualità, il Massera, di ammiraglio e Comandante della Marina Militare argentina, ed i rimanenti nella loro qualità di ufficiali della Marina facenti parte del “Grupo de Taréa 3.3.2.” istituito presso la “Escuela Superior de Mecanica de la Armada” (ESMA), cagionato la morte, dopo averne disposto od operato il sequestro, e dopo averli sottoposti a tortura, di Angela Maria Aieta (sequestrata il 5/8/76) e di Giovanni e Susanna Pegoraro (entrambi sequestrati il 18/6/1977).
Con le aggravanti di aver commesso i fatti con premeditazione, ed adoperando sevizie ed agendo con crudeltà verso le persone.
In Buenos Aires, tra l’agosto 1976 ed il dicembre 1977
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OSSERVA
Premessa
Il 24 marzo del 1976 una Giunta Militare composta dal Comandante in Capo dell’Esercito, generale Jorge Videla, dal Comandante della Marina Militare, ammiraglio Emilio Eduardo Massera, e dal generale di Brigata Aerea Orlando Ramón Agosti, prendeva il potere in Argentina, destituendo l’allora Presidente della Repubblica Maria Estéla Martinez, detta Isabelíta, vedova del generale Juan Domingo Perón.
Paese che aveva conosciuto negli ultimi cinquant’anni della sua storia il continuo susseguirsi di dittature militari, l’Argentina aveva registrato sul finire degli anni Sessanta, come del resto accadeva a quell’epoca in tutto il mondo, un grosso fermento giovanile, studentesco ed operaio, portatore di istanze sociali di uguaglianza e solidarietà.
I giovani argentini si riconobbero, nella stragrande maggioranza, nel movimento della “Gioventù Peronista”, e videro appunto in Juan Domingo Perón l’uomo che avrebbe potuto offrire loro una “patria socialista”.
L’Argentina aveva quindi vissuto nel giugno del ’73, con il rientro in Patria di Perón dopo un quasi ventennale esilio in terra di Spagna (Perón era stato infatti a sua volta “rovesciato”, nel ’55, da un golpe militare del generale Aramburu), un momento di grande esaltazione popolare.
In realtà, fin dal suo ritorno in Patria, il 20 giugno del ’73 all’aeroporto di Ezeiza (l’aeroporto internazionale di Buenos Aires), questi giovani dovettero fare i conti con la illusorietà dei loro sogni. In quell’occasione si verificò infatti uno scontro a fuoco durissimo tra la “destra peronista”, che presidiava il palco dove Perón avrebbe dovuto pronunciare il suo primo discorso appena rientrato nel suo Paese, e la “sinistra peronista”, composta non soltanto dai giovani del movimento peronista ma anche dai “Montoneros”, da giovani dell’ERP (“Esercito Rivoluzionario del Popolo”), del FAR (“Fronte Armato Rivoluzionario”), del FAL (“Fronte Argentino di Liberazione”), e di altri gruppuscoli di sinistra, che si erano strategicamente “alleati” considerando Perón la loro unica “sinistra possibile”. In questo scontro rimasero uccise decine di giovani appartenenti alla variegata “sinistra peronista”, e centinaia furono i feriti.
La “condanna” di questi giovani da parte di Perón (che li considerò in pratica responsabili del massacro di Ezeiza) fece precipitare le cose. Il definitivo distacco della “Gioventù Peronista” dal vecchio generale si sarebbe consumato in Plaza de Mayo (sede della Casa Rosada, la residenza presidenziale, e simbolo e cuore della città di Buenos Aires) il 1° maggio 1974, allorché Perón bollò come “imbelli ed imberbi” i giovani del movimento peronista.
Alla morte di Perón, sopravvenuta il 1° luglio del ’74, la vedova “Isabelita”, da lui imposta al Paese come proprio vice-Presidente, salì quindi al potere. A prendere le redini del Paese sarebbe stato peraltro José Lopez Rega, sinistra figura di “astrologo-esoterico”, già caro al vecchio generale, che guidò di fatto la mano di Isabelita. E’ José Lopez Rega a creare, già sul finire del ’74, la “Triple A” (Alleanza Anticomunista Argentina): veri e propri “squadroni della morte”, che inizieranno a sequestrare, torturare e fare sparire (“desaparecer”) non soltanto chiunque venga sospettato di svolgere attività “sovversiva”, ma anche quanti si adoperano semplicemente nelle cosiddette “villas miseria” (il degradato tessuto metropolitano di quella immensa città che è Buenos Aires, in sostanza le “bidonvilles” che fanno da cintura alla Capital Federal) , o che sono comunque impegnati nel “sociale”. Parallelamente, si inasprisce l’attività dei gruppi praticanti la lotta armata.
Già sul finire del ’75, Isabelita sarà indotta a firmare un decreto che sancisce lo “stato d’assedio”, conferendo al Consiglio Supremo delle Forze Armate ogni più ampio potere in quella che viene chiamata la “lucha anti-subversiva”.
E’ il prologo del golpe militare che sarà consumato da lì a pochi mesi…
Il golpe
Il 24 marzo del ‘76 una Giunta Militare composta da Videla, Agosti e Massera prende dunque il potere.
Tutto questo non avverrà nella maniera sanguinosa e cruenta con cui Pinochet era salito al potere in Cile l’11 settembre del ’73 : a Santiago del Cile bombardarono la “Moneda” (la Casa Presidenziale), e Salvador Allende preferì suicidarsi, sparandosi un colpo di fucile, piuttosto che cadere in mano ai militari ; gli stadi vennero riempiti di prigionieri politici, e quelle immagini, provocatoriamente ostentate in tutto il mondo, guadagnarono da subito a Pinochet la condanna di tutta la comunità civile.
Niente di tutto questo accade il 24 marzo del ’76 in Argentina : la presa del potere da parte della Giunta Militare avviene in maniera almeno apparentemente “incruenta”, ed i militari argentini si guardano bene dal ripetere gli “errori di immagine” commessi da Pinochet in Cile.
L’impressione da trasmettere è quella di un Paese restituito all’ordine senza violenza, o almeno senza quegli “eccessi” ostentati in maniera così plateale dai militari cileni. Il regime militare argentino sceglie la strada della “violenza nascosta” : il che valse addirittura, almeno inizialmente, a far sì che Videla venisse quasi considerato un “moderato”.
Il Paese viene diviso in cinque Zone Militari, ognuna al comando di un Corpo dell’ Esercito.
La Zona 1, corrispondente all’area Buenos Aires-Capital Federal e c.d. “Gran Buenos Aires” (buona parte della provincia di Buenos Aires), sotto il comando del generale Carlos Guillermo Suarez Mason (condannato all’ergastolo con sentenza della 2^ Corte di Assise di Roma in data 6/12/2000 -confermata in appello nel marzo 2003, e divenuta definitiva a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione in data 28/4/2004- perché riconosciuto responsabile dell’omicidio di vari cittadini italiani, o comunque di origine italiana ed in possesso di “doppia cittadinanza”).
La Zona 2, corrispondente all’area geografica della provincia di Entre Ríos, a nord di Buenos Aires.
La Zona 3, a nord del Paese, corrispondente alla regione del Tucumán ed alla città di Cordoba, sotto il comando del generale Menéndez.
La Zona 4, corrispondente all'area “Tigre-Campo de Mayo”, un po’ a nord di Buenos Aires, sotto il comando del generale Santiago Omár Riveros (anch’egli condannato all’ergastolo con la sopra ricordata sentenza della 2^ Corte di Assise di Roma del 6/12/2000, divenuta irrevocabile).
E la Zona 5, a sud del Paese, comprendente parte della provincia meridionale di Buenos Aires, e Patagonia e Tierra del Fuego.
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Quali atrocità fossero state in realtà commesse dalla dittatura militare argentina lo si sarebbe appreso nella sua pienezza solo con il ritorno alla democrazia, avvenuto con l’elezione a Presidente della Repubblica, nel dicembre dell’83, del leader radicale Raúl Alfonsín, in seguito alla disfatta militare delle Falkland-Malvinas (maggio-giugno ’82), che rappresentò di fatto la tomba della dittatura ed indusse il regime militare a riconsegnare a
libere elezioni democratiche un Paese in ginocchio.
Attraverso il lavoro della CONADEP (“Comisión Nacionál sobre la Desaparición de Personas”), istituita dal neo-Presidente Alfonsín, si sarebbe infatti appreso dell’esistenza di ben 350 “centri clandestini di detenzione” (i cosiddetti “CCD”) nell’Argentina insanguinata dalla ferocia della dittatura militare.
Trecentocinquanta Auschwitz, Mauthausen e Dachau, veri e propri campi di concentramento “occulti”, dove venivano “deportati” giovani in prevalenza tra i 20 ed i 25 anni.
Per lo più sequestrati nelle loro case, nel sonno, nel cuore della notte, oppure presi per strada, inermi, e quindi bendati, incappucciati, buttati su vecchie “Ford Falcon” prive di targa.
E condotti in questi centri, dove sarebbero stati a lungo torturati con la “picana elettrica” in ogni parte del corpo, e poi fatti “sparire” (di qui il tristemente noto neologismo di “desaparecidos”) con i cosiddetti “voli della morte”, gettati vivi nel Rio de la Plata o nell’Oceano Atlantico da vecchi aerei Skyvan, Hercules o Electra, dopo essere stati denudati ed intontiti con iniezioni di “Pentothal”.
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Il “Processo alle Giunte” del 1985
Divenuto Presidente il 10 dicembre 1983, dopo libere elezioni democratiche, Raúl Alfonsín, leader della “Union Civica Radicál”, dispose, con un decreto di appena due giorni dopo, che venisse istruito un processo contro i comandanti delle prime tre Giunte Militari responsabili dei feroci crimini consumati dalla dittatura tra il ’76 ed il 1983.
L’istruttoria di quel procedimento dovette molto all’enorme lavoro svolto dalla “CONADEP”, di cui si è avanti detto, composta da dieci autorevoli personalità e presieduta da Ernesto Sábato, scrittore ed intellettuale argentino di primo piano.
Il processo pubblico si svolse tra l’aprile ed il dicembre del 1985, e gli imputati in questo processo furono Videla, Agosti, Massera, Lambruschini, Viola, Galtieri, Graffigna, Anaya e Lami-Dozo. Vennero inflitte pesanti condanne, e Videla e Massera furono entrambi condannati all’ergastolo.
Quel processo avrebbe dovuto rappresentare soltanto il “primo livello” di accertamento delle responsabilità.
Stavano infatti parallelamente istruendosi numerosi altri procedimenti, che vedevano quali imputati centinaia e centinaia di altri alti e medi ufficiali ed anche numerosi “civili” integranti i “grupos de taréa” (“gruppi operativi”), che avevano avuto il compito di sequestrare e poi torturare i giovani (chiunque fosse anche solo vagamente sospetto di simpatie di sinistra), prima di farli “sparire” secondo le macabre modalità in precedenza accennate.
E’ agevole immaginare quanto nervosa ed irritata potesse essere la reazione militare di fronte a questa operazione di giustizia a trecentosessanta gradi.
Il malcontento serpeggiante nell’Esercito, e le minacce di nuove insurrezioni militari, indussero il nuovo e fragile governo democratico alla emanazione, nel dicembre del 1986, della “Ley del Punto Final” (“Legge del Punto Finale”) con la quale veniva concesso ai magistrati un termine di appena sessanta giorni per istruire i processi, raccogliere le prove e chiedere il rinvio a giudizio, pena l’estinzione dell’azione penale. Una legge evidentemente assurda, che tuttavia non impedì ai magistrati argentini di chiedere il rinvio a giudizio per oltre 450 militari.
La reazione militare si fece allora ancor più forte e risentita, e si registrò un “ammutinamento” di centinaia di militari, agli ordini di un tal colonnello Rico, i quali, dipintasi la faccia di nerofumo (di qui il nome di “carapintadas”, facce dipinte, che essi stessi si dettero), minacciarono seriamente una nuova insurrezione militare.
La situazione divenne presto così critica che il giorno di Pasqua del 1987 Raúl Alfonsín in persona si fece portare in elicottero nella caserma dove i ribelli si erano asserragliati, per cercare di “trattare” la loro resa.
Finito questo incontro con il colonnello Rico ed i suoi “carapintadas”, Alfonsín si fece quindi riaccompagnare in elicottero alla Casa Rosada, da dove si affacciò annunciando alle centomila persone che gremivano la storica Plaza de Mayo che “gli eroi delle Malvinas” avevano accolto il suo appello alla ragione, che “la casa era in ordine”, e che tutti potevano tornare nelle loro case e “mangiare serenamente la colomba pasquale”.
Quale fosse stato il prezzo di questa scampata nuova insurrezione militare si sarebbe appreso appena un mese più tardi, nel maggio dell’87, allorché venne promulgata la c.d. “Ley de obediencia debída” (“Legge di obbedienza dovuta”), che, calpestando ogni più elementare principio giuridico, e mortificando gli stessi cardini fondamentali di ogni Stato di diritto, avrebbe offerto la più totale impunità di fronte a quei crimini atroci ed aberranti consumati dal regime militare sotto il falso pretesto di “aniquilar la lucha subversiva”.
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“Annientare la sovversione” : annientarla, in realtà, non politicamente o con i mezzi legali rappresentati da un giusto processo che tenesse in conto le garanzie di difesa di ogni essere umano.
“Annientarla”, nella maniera più letterale e brutale del termine : attraverso quel sistematico genocidio di un’intera generazione, che, con l’alibi di disfarsi di non più di duemila giovani aderenti alla lotta armata, portò in realtà alla vera e propria “mattanza” di trentamila giovani, semplicemente colpevoli di avere “simpatie a sinistra”.
Questa “Legge di Obbedienza Dovuta”, che grida vendetta per ogni sistema giuridico che pretenda di dirsi civile, pose di fatto nel nulla il lavoro che la magistratura stava faticosamente portando avanti.
Gli unici a non poter godere di fatto di tale impunità restarono quanti avessero operato durante quei massacri con il grado di generali di divisione, o avessero rivestito il ruolo di Comandanti di Zona o sub-Zona in quella diabolica “geografia del terrore” di cui si è avanti detto.
E restava altresì fuori dall’impunità il reato di sottrazione dei neonati o dei bambini in tenerissima età, portati via al momento del parto o del loro sequestro alle giovani madri “desaparecidas” , ed “adottati” da famiglie di militari dopo averne alterato lo stato civile.
E per questi ultimi reati, “robo de niños” o “robo de bebé”, come dicono in Argentina, sono oggi aperti in quel Paese procedimenti penali che, seppure non vedono i feroci militari della dittatura imputati -come dovrebbero- del genocidio e dei crimini contro l’umanità da loro consumati, hanno tuttavia almeno il merito di perseguire e punire, per altra via, gli orrendi misfatti consumati con l’alibi della “lucha anti-subversiva”.
Restavano quindi in piedi solo le condanne irrogate nel “Juicio a las Juntas” dell’85, e le condanne inflitte nel “processo Camps” del 1986. Senonché, divenuto Presidente nel 1989, Carlos Saúl Menem -pur provenendo da quello stesso partito “peronista” e “giustizialista” nel quale infine si riconoscevano, come sopra detto, le migliaia e migliaia di giovani vittime del terrore (e del “terrorismo di Stato”) portato avanti dalla dittatura militare- concede, tra l’89 ed il ’90, la grazia a Videla e Massera (condannati, nell’85, ad un…brevissimo ergastolo) ed agli altri componenti delle Giunte Militari pure condannati nel “Juicio a las Juntas”.
E completa poi l’opera concedendo l’ “indulto” (in realtà un “mostro giuridico”, in quanto interveniva su procedimenti ancora pendenti in fase istruttoria…) a quei pochi che (come Suarez Mason e Santiago Omar Riveros), avendo operato con il grado di generale di divisione, erano “soggettivamente” esclusi dalla impunità offerta dalla “Ley de obediencia debìda”.
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L’ESMA
In questa “geografia del terrore” di cui si è avanti detto, occupa un posto di primo piano la “Escuela Superior de Mecanica de la Armada” (ESMA) : la Scuola di Meccanica della Marina, che sorgeva ed ancora sorge nella città di Buenos Aires, sulla elegante Avenida Libertador, una delle strade più belle della Capitale, lungo il Rio de la Plata.
L’ESMA fu luogo di tortura per diverse migliaia di giovani, nella quasi totalità “spariti” con i “voli della morte” di cui si è avanti detto.
Ed all’ ESMA operava il “Grupo de Taréa 3.3.2.”, tra i cui componenti vi erano senz’altro (come dichiarato da più testi sopravvissuti a detto centro di tortura, e come del resto accertato anche attraverso il “Processo alle Giunte” del 1985 , prima che le due successive leggi del “Punto Final” e della “Obediencia Debída”, di cui si è sopra detto, portassero di fatto alla totale impunità per tutti i feroci crimini consumati nei sette anni di dittatura militare che vanno dal 24 marzo del ’76 al dicembre del 1983) tutti gli imputati del presente processo.
Quanto a Jorge Raúl Vildoza (latitante dal 1987, a seguito di mandato di cattura emesso nei suoi confronti dall’autorità giudiziaria argentina ; v. nota Interpol a fl. 1219 , faldone n. 2), il medesimo era il comandante del “Grupo de Taréa 3.3.2”.
Jorge Eduardo Acosta era formalmente il suo “numero due”, in quanto per il suo grado militare subordinato a Vildoza, ma di fatto era lui il vero “capo” di tale “servizio operativo e logistico”.
Antonio Vañek, contrammiraglio, era il numero due della Marina Militare, in quanto subordinato solo all’ammiraglio Emilio Eduardo Massera, Comandante della Marina militare ed in tale veste capo supremo anche dell’ESMA, che della Marina Militare costituiva una sorta di “fiore all’occhiello”.
Héctor Antonio Fébres, prefetto navale, fece anch’egli parte del gruppo operativo e logistico preposto all’ESMA, con lo specifico compito, secondo plurime testimonianze, della “gestione” delle internate in stato di gravidanza (dopo il parto, e dopo la sottrazione delle loro creature, tutte barbaramente uccise).
Da ultimo, Alfredo Ignacio Astìz : uno dei più feroci torturatori dell’ESMA, all’epoca giovane tenente della Marina, che guidava gli “operativi” incaricati dei “sequestri” e poi delle “sessioni di tortura” (Astìz è stato tra l’altro condannato in contumacia, nel ‘90, in Francia, alla pena dell’ergastolo, per il sequestro e l’uccisione di due suore francesi, Alice Domon e Leonie Duquet, anch’esse finite in uno dei tanti “voli della morte” che partivano dall’ESMA, e cinicamente ribattezzate “le monache volanti”).
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L’internamento all’ESMA di Angela Maria Aieta e di Giovanni e Susanna Pegoraro
Dell’avvenuto internamento all’ESMA di Angela Maria Aieta e di Giovanni e Susanna Pegoraro vi è prova alla luce di plurime dichiarazioni di vari “sopravvissuti” di detto centro clandestino di detenzione, che ebbero la ventura di essere anch’essi sequestrati e lì internati e torturati prima di beneficiare di un’insperata “liberazione”.
Vi sono in atti, al riguardo, svariate dichiarazioni di ex internati dell’ESMA, in maggior parte rese in forma di dichiarazioni spontanee presso il Consolato italiano a Buenos Aires, tra la fine di agosto ed i primi di settembre del ’99.
Angelamaria Aieta
Angelamaria Aieta aveva cinquantasei anni all’epoca dei fatti, essendo nata a Fuscaldo, in provincia di Cosenza, il 7 marzo del 1920.
Venne sequestrata il 5 agosto del ’76 da un “operativo” che la condusse all’ESMA ; il vero obiettivo di chi operò il sequestro era peraltro suo figlio, il giovane Dante Gullo, all’epoca leader della Gioventù Peronista.
Sulle circostanze e modalità del sequestro di Angela Maria Aieta vi sono in atti le testimonianze “de relato” del figlio, Dante Gullo, e di quella che era all’epoca sua moglie, Graciela Dora Ojeda, la quale ultima venne informata lo stesso pomeriggio del 5 agosto ’76 delle circostanze e modalità del sequestro dal suocero, Humberto Gullo (poi deceduto nel 1989), unico presente al sequestro.
A testimoniare poi sulla presenza, quale internata, all’ ESMA, di Angela Maria Aieta, sono Marta Remedios Alvarez, che, all’epoca ventitreenne, era stata sequestrata e condotta in detto luogo di tortura il 26 giugno del ’76, e vi si trovava quindi da poco più di un mese ristretta quando, il 5 agosto del ’76, vi venne condotta la Aieta.
Ed inoltre Horacio Peralta e l’allora sua compagna Hebe Lorenzo, sequestrati insieme il 26 agosto del ’76; infine, Raùl Lisandro Cubas, sequestrato ed internato all' ESMA il 20 ottobre del ‘76.
La mancanza di ulteriori testi in grado di riferire in ordine all’internamento all’ ESMA di Angela Maria Aieta si spiega con la penuria di sopravvissuti del “primo periodo” di attività di detto centro clandestino di detenzione, verosimilmente quasi tutti macabramente soppressi con i “voli della morte” più volte ricordati.
Giovanni e Susanna Pegoraro
Giovanni Pegoraro, imprenditore edile di Mar del Plata, e sua figlia Susanna, di ventun anni, vennero sequestrati insieme, il 18 giugno del ’77, in Buenos Aires, dove il padre si trovava occasionalmente per lavoro e dove Susanna frequentava invece la facoltà di giurisprudenza (v. denuncia in atti di Inocencia Luca, vedova di Giovanni Pegoraro).
Vennero entrambi portati all’ESMA, come testimoniato da più sopravvissuti che hanno in tal senso reso spontanee dichiarazioni presso il Consolato italiano in Buenos Aires.
A parlare infatti della presenza all’ESMA dei due, sono Beatriz Elisa Tokar (sequestrata il 21/9/77) , Sara Solarz Osatinsky (sequestrata il 18 maggio del ’77 e liberata il 19 dicembre del ’79) ed Ana Maria Martì (sequestrata il 18 marzo del ’77 e liberata il 19 dicembre del ’78), Graciela Beatriz Daleo (sequestrata il 18/10/77 e liberata il 20 aprile del ‘79) , Lila Pastoriza (sequestrata il 15/6/77, liberata il 25 ottobre del ‘78) , Raùl Lisandro Cubas (sequestrato il 20 ottobre del ’76 e liberato il 19 gennaio del ’79), Maria Alicia Milìa (sequestrata il 28/5/77 e liberata il 19 gennaio del ‘79), Nilda Orazi (sequestrata il 29 aprile del ’77, e liberata nell’aprile del ’78), e Norma Susana Burgos (sequestrata il 21 gennaio del ’77 e liberata il 26 gennaio del ‘79).
Tutti i testi avanti detti ebbero modo di vedere direttamente, all’interno dell’ESMA, Giovanni e Susanna Pegoraro, o comunque di apprendere da altri della presenza dei due in tale centro clandestino di detenzione, ed hanno altresì riferito dello stato di gravidanza in cui si trovava la giovane, nonché del parto di quest’ultima, che diede alla luce, all’interno dell’ESMA (assistita nel parto da Sara Solarz Osatinsky), intorno al novembre del ’77, una bambina.
Per inciso, questa bambina (di nome Evelyn) è stata “ritrovata” nel ’99, in Argentina, “adottata” subito dopo la nascita da un sottufficiale della Marina, tale Policarpo Vasquez, indagato (dall’Autorità giudiziaria argentina), insieme alla moglie, per i reati di sottrazione di minore e di alterazione di stato.
Tale ultimo procedimento è in carico al giudice argentino Maria Servini de Cubrìa : la stessa che ha disposto, nei confronti di Alfredo Astìz, nel luglio del 2001 -in relazione alla ordinanza di custodia cautelare emessa, su richiesta di questo PM, dal GIP dott. Tortora nel presente procedimento- l’ordine provvisorio di arresto in attesa della estradizione, poi negata dal governo argentino.
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Alle testimonianze avanti dette si aggiungono, con particolare rilevanza quanto alla struttura ed organizzazione dell’ESMA, alle torture ivi praticate, alle modalità di eliminazione degli internati, nonché alle specifiche funzioni e responsabilità degli odierni imputati, quelle di Horacio Verbitsky (giornalista e scrittore, autore del libro “Il Volo”, nato da una lunga confessione-intervista del capitano della Marina Adolfo Scilingo, all’epoca in servizio all’ESMA e testimone diretto dei “voli della morte”) ; di Julio Cesar Urien (ex ufficiale della Marina e compagno di corso di Astìz) che ha riferito degli addestramenti specifici ai sequestri ed alle torture, cui venne con i propri commilitoni sottoposto già da qualche anno prima del golpe del 24 marzo ’76, e che, non condividendo tali metodi, venne arrestato ; di Victor Basterra (internato all’ESMA dal ’79 fino alla caduta del regime militare, che venne messo a lavorare in una sorta di tipografia clandestina dove ricorda di avere dovuto tra l’altro formare quattro falsi passaporti nei confronti di una persona che successivamente apprese essere Licio Gelli, “maestro venerabile” della loggia massonica P2) ; di Mario Villani (fisico, sequestrato nel ’78 e passato attraverso vari centri clandestini, tra cui, da ultimo, l’ESMA) ; di Nilda Noemi Actis Goretta (sequestrata il 19/6/78 e liberata nel luglio del ‘79).
Ed, infine, di Magdalena Ruiz Guiñazù, giornalista del quotidiano argentino “La Nación” e componente, nel 1983, di quella CONADEP (“Comisión Nacionál sobre la Desaparición de Personas”) istituita da Raúl Alfonsín, e che, nell’ambito della stessa, si occupò in particolare dell’ESMA ricostruendone -sulla scorta delle dichiarazioni dei sopravvissuti- organizzazione, gerarchie e caratteristiche rispetto agli altri centri clandestini di detenzione.
Sulla genesi, infine, del golpe militare del 24 marzo ’76, e su quella che era più in generale la situazione politica in Argentina negli anni immediatamente precedenti il golpe, potranno infine testimoniare -oltre allo scrittore e giornalista argentino Horacio Verbitsky, avanti ricordato- il giornalista italiano Italo Moretti, all’epoca corrispondente da Buenos Aires per il TG2 (e che sulla scorta della specifica esperienza di quegli anni ha pubblicato vari libri : “Innocenti e colpevoli” ; “In Sudamerica” ; “I figli di Plaza de Mayo”), ed Enrico Calamai, negli anni 1976/1977 giovane console in Buenos Aires, e che tanto si adoperò, nella più totale solitudine istituzionale, per cercare di salvare quante più vite umane gli fosse possibile (e che ha anch’egli recentemente pubblicato, al riguardo, un libro di memorie, dal titolo “Niente asilo politico”) : si tratta di testi già sentiti, in dibattimento, dinanzi alla 2^ Corte di Assise di Roma, nel giugno del 2000, in relazione al sopra ricordato procedimento a carico di Carlos Guillermo Suarez Mason ed altri, ed il cui contributo si è rivelato prezioso per la ricostruzione storica dei fatti.
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I ruoli e le responsabilità degli odierni imputati
Pressoché tutti i testi, ex sopravvissuti dell’ ESMA, più avanti ricordati, hanno riferito dell’esistenza del “Grupo de Taréa 3.3.2.”, che ivi operava, e tra i cui componenti vi erano senz’altro tutti gli odierni imputati.
Quanto a Jorge Raúl Vildoza , si è già detto come lo stesso fosse il comandante del “Grupo de Taréa 3.3.2” , e si è altresì precisato come Jorge Eduardo Acosta (detto “El Tigre”), formalmente suo “numero due”, fosse di fatto considerato, per pressoché unanime dichiarazione degli ex internati, il vero “capo” di tale “servizio operativo e logistico”.
Ruolo di primo piano all’interno dell’ESMA va poi riconosciuto ad Antonio Vañek , contrammiraglio , “numero due” della Marina Militare, in quanto subordinato solo all’ammiraglio Emilio Eduardo Massera, Comandante della Marina militare ed in tale veste capo supremo anche dell’ESMA.
Del gruppo operativo e logistico preposto all’ESMA fece inoltre senz’altro parte il prefetto navale Héctor Antonio Fébres, con lo specifico compito, secondo plurime testimonianze, come già avanti ricordato, della “gestione” delle internate in stato di gravidanza (tutte barbaramente uccise dopo il parto).
E, da ultimo, del “Grupo de Taréa 3.3.2” faceva inoltre senz’altro parte Alfredo Ignacio Astìz : uno dei più feroci torturatori dell’ESMA, all’epoca giovane tenente della Marina, che guidava gli “operativi” incaricati dei “sequestri” e poi delle “sessioni di tortura” (si è già detto, altresì, come Astìz sia stato tra l’altro condannato in contumacia, nel ‘90, in Francia, alla pena dell’ergastolo, per il sequestro e l’uccisione delle due suore francesi Alice Domon e Leonie Duquet, anch’esse finite in uno dei tanti “voli della morte” che partivano dall’ESMA, e cinicamente ribattezzate “le monache volanti”).
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p. q. m.
• Individuate le pp. oo. in :
1) Inocencia LUCA , vedova Pegoraro ; 2) Dante GULLO ; 3) Juan Ernesto GULLO ; 4) Carlos Nicolas GULLO ; 5) Emiliano Demian GULLO, tutti elett.ti dom.ti presso lo studio dei propri difensori avv. Marcello Gentili, in Milano Piazza V Giornate n. 1 ed avv. Giancarlo Maniga , in Milano Piazza S.Pietro in Gessate n. 2
• Evidenziata l’acquisizione delle seguenti fonti di prova:
- Dichiarazioni in atti di Graciela Ojeda in ordine al sequestro della suocera, Angela Maria Aieta, avvenuto in Buenos Aires il 5 agosto del 1976 ; Denuncia in atti di Inocencia LUCA, vedova Pegoraro, in ordine al sequestro del marito Giovanni e della figlia Susanna, avvenuto in Buenos Aires il 18 giugno del 1977;
In relazione all’internamento all’ESMA di Angela Maria Aieta:
- dichiarazioni di Marta Remedios Alvarez (che, all’epoca ventitreenne, era stata sequestrata e condotta in detto luogo di tortura il 26 giugno del ’76, e vi si trovava quindi da poco più di un mese ristretta quando, il 5 agosto del ’76, vi venne condotta la Aieta) ;
- dichiarazioni di Horacio Peralta e dell’allora sua compagna Hebe Lorenzo (sequestrati insieme il 26 agosto del ’76) ;
- ed, infine, dichiarazioni di Raùl Lisandro Cubas, sequestrato ed internato all'ESMA il 20 ottobre del ’76 ;
In relazione all’internamento all’ESMA di Giovanni e Susanna Pegoraro:
- dichiarazioni rese da Beatriz Elisa Tokar (sequestrata il 21/9/77)
- Sara Solarz Osatinsky (sequestrata il 18 maggio del ’77 e liberata il 19 dicembre del ’79) ed Ana Maria Martì (sequestrata il 18 marzo del ’77 e liberata il 19 dicembre del ’78),
- Graciela Beatriz Daleo (sequestrata il 18/10/77 e liberata il 20 aprile del ‘79) ,
- Lila Pastoriza (sequestrata il 15/6/77, liberata il 25 ottobre del ‘78) ,
- Raùl Lisandro Cubas (sequestrato il 20 ottobre del ’76 e liberato il 19 gennaio del ’79),
- Maria Alicia Milìa (sequestrata il 28/5/77 e liberata il 19 gennaio del ‘79),
- Nilda Orazi (sequestrata il 29 aprile del ’77, e liberata nell’aprile del ’78 ; fu condotta dapprima al “Club Atletico” e successivamente, circa un mese dopo, all’ESMA),
- e Norma Susana Burgos (sequestrata il 21 gennaio del ’77 e liberata il 26 gennaio del ‘79) ;
• Dichiarazioni dei “sopravvissuti” avanti detti, nonché di Mario Villani, Victor Basterra e Nilde Noemi Actis Goretta , in ordine alle condizioni di detenzione all’interno del centro clandestino di detenzione dell’ESMA ;
• Dichiarazioni (già rese nel dibattimento di primo grado a carico di Carlos Guillermo Suarez Mason+altri) in ordine alla struttura dell’ESMA ed alle atrocità ivi commesse, di Horacio Verbitsky , Italo Moretti, e di Magdalena Ruiz Guiñazù (componente della CONADEP, di cui si è avanti detto, e, nell’ambito di detta Commissione, specificamente incaricata di “ricostruire” le vicende dell’ESMA);
Visti gli artt. 416, 417 c.p.p.
CHIEDE
l’emissione del decreto che dispone il giudizio, nei confronti di tutti gli odierni imputati, dinanzi alla Corte di Assise di Roma , per ivi rispondere del reato di omicidio plurimo aggravato e continuato, loro ascritto in concorso.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
ROMA, 19.11.2004
Il Sost. Proc. della Repubblica
Francesco Caporale
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