Massimo Carlotto, Le irregolari, Edizioni E/O Roma 1998.
Il Buenos Aires horror tour è, appunto, una corriera che viaggia nella notte riesumando ad ogni fermata uno dei macabri santuari del passato disseminati nella città. L’autore è il protagonista di tale viaggio, scoperto per il suo cognome dal portiere del piccolo albergo in cui soggiorna appena giunto nella capitale federale: “sei parente della donna che guida le Nonne di Plaza de Mayo?”
Cercando di riaccendere il ricordo di un nonno tornato senza fortuna da un’indeterminabile emigrazione in Argentina, allaccia l’inseguimento del suo fantasma a quelli che la scoperta di una parentela insospettata con i Carlotto d’Argentina gli rivela. Si lascia guidare nella topografia dei delitti, dei caratteri dei torturatori e delle vittime, di chi è rimasto e cerca di colmare l’incolmabile vuoto lasciato, di chi ha combattuto e continua a combattere per non perdere la dignità della verità. Insegue i sogni di una stagione tramontata: il sessantotto finito a Padova nella clandestinità dell’America Latina, delle guerriglie. Cerca di capire perché i sogni sono finiti e dove sono finiti gli altri ragazzi che gli somigliavano nella ricerca dell’utopia. Una ragnatela li unisce tra Nicaragua, Perù, Brasile, Salvador e altri paesi dominati dai militari.
Durante la storia scavalca l’Argentina ed arriva in Cile, per riannodare i fili di una caccia alla verità che lo spinge fino ai confini con il Perù, alla ricerca di un amico che crede detenuto nelle prigioni di Fujimori e che scopre morto. Viene a conoscenza che ha lasciato un figlio, abbandonato anche dalla madre venezuelana, inseguita da polizie e dai fantasmi del suo passato. Il ragazzo vive a Nancy, nella casa di intellettuali che nella stessa stagione avevano coltivato, pacificamente, ideali uguali ai suoi.
Carlotto nell’ultima corsa del romanzo sembra intuire nell’adolescente la soluzione dei suoi problemi sepolti: aiutarlo a scoprire l’infanzia negata per ritrovare la propria maturità, fargli scoprire che il padre è morto e che la madre è viva.
Parallelamente descrive l’inizio dell’atto processuale italiano contro i militari argentini, altro importante passaggio verso la riacquisizione della verità su quegli anni della storia del paese. Nel finale l’autore cita una frase di Ernesto Sabato che sembra sintetizzare lo spirito del suo viaggio di ricerca: “era meglio prendere una strada sbagliata contro la dittatura che avere ragione obbedendole”.
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