Nato a Grammichele, in provincia di Catania, Salvatore Privitera cresce in Argentina, nella città di Mendoza, dove la famiglia era emigrata quando aveva appena sette anni. Completa i propri studi nella città di Cordoba, dove si laurea in medicina e intraprende la professione di medico anestesista nell’ospedale Rawson di Cordoba. Animato da una particolare attenzione nei confronti della società e dei meno abbienti, presta la propria opera gratuitamente in un centro ambulatoriale familiare.
L’attività di medico lo porta a contatto con le carenze strutturali delle istituzioni sanitarie, che denuncerà costantemente nell’ambito della sua attività sindacale.
Nel 1973 è prelevato dall’ospedale nel quale lavora, insieme alla moglie, anch’essa medico, e arrestato con l’accusa di aver preso parte ad un’azione armata ai danni della caserma di Belville, avvenuta qualche mese prima.
Processato e prosciolto dall’accusa, resta, tuttavia, in carcere fino al 1979, quando, grazie soprattutto all’attività di sensibilizzazione condotta dal fratello Paolo in Italia, e alle pressioni del governo italiano, viene scarcerato ed espulso dallo stato.
Raggiunta l’Italia, Salvatore non perde di vista quella che è oramai la priorità ideale della sua vita: rientrare in Argentina e contribuire a combattere la dittatura. Riesce a stabilire i contatti con un gruppo di altri esiliati politici che si trova a Roma e da lì riorganizza il proprio rientro in Argentina, che avviene presumibilmente nel settembre del 1980, attraverso la Bolivia o il Paraguay.
Una telefonata, da parte probabilmente di una compagna, avverte la famiglia che Salvatore è stato catturato nuovamente.
Da allora, di lui si perde ogni traccia, nonostante le svariate iniziative intraprese dalla famiglia nella speranza di ritrovarlo in vita.
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