Enrico Calamai, Niente asilo politico, Editori Riuniti, Roma 2004
Niente asilo politico è il racconto di una violenza di Stato perpetuata dalla dittatura militare argentina grazie al silenzio-assenzo delle democrazie occidentali, a cominciare da quella italiana e con gravi responsabilità del Vaticano, da parte di un testimone diretto come il console in carica Enrico Calamai. Il giovane console, lo stesso autore del libro, è stato inviato a svolgere i suoi uffici in Argentina prima, in Cile dopo e poi ancora in Argentina, durante la seconda metà degli anni ’70.
Poco incline ai servilismi di potere, ma educato al forte senso dello Stato e al rigido rispetto dei propri doveri, si trova ad affrontare, quasi ad inizio di carriera, il Cile di Pinochet e l’Argentina dei generali, ma soprattutto l’Italia dell’acquiescenza a tutto questo. Questa sembra, difatti, la nota maggiormente dolente di tutto il suo diario: oltre a denunciare la violenza dei regimi, che usano metodologie di sterminio pur di vedere affermato il proprio volere contro ogni forma di opposizione, l’opera testimonia l’atteggiamento dei governi occidentali di fronte a quanto stava accadendo. “Niente asilo politico” è proprio la risposta del governo italiano di fronte alle richieste di protezione dei perseguitati politici italiani o di origine italiana in Argentina.
L’asilo politico non sarà concesso, tranne rari casi, per la decisa volontà dimostrata dal Governo italiano di quegli anni, di non rovinare i rapporti con il regime dei militari, per tutelare gli interessi economici di alcuni gruppi industriali e per assecondare le volontà di lobby massoniche, come la P2 di Gelli, sproporzionatamente influente in quegli anni. Anche di fronte alla sparizione di cittadini italiani il governo non protesta, non convoca l’ambasciatore argentino, non apre i cancelli ai rifugiati. Calamai viene isolato, considerato a volte pazzo, a volte comunista, certamente un indesiderato.
Viene costretto ad andare via “senza essere riuscito a organizzare un gruppo di persone disposte a continuare la sua attività umanitaria”. Anche il PCI, da lui interpellato una volta tornato, preferisce far finta di non vedere. Mosca non ha mai condannato i generali argentini da cui acquista il grano. Calamai non può più parlare di Buenos Aires, è costretto a dimenticare mentre aspetta di poter lasciare il Ministero degli Affari Esteri: “un tunnel durato 20 anni”.77, nell’Argentina dei desaparecidos.
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