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Marcello Gentili |
Marcello Gentili vive da sempre a Milano, dove è nato nel 1929. Avvocato penalista, cattolico ma pronipote di Gioacchino Ravà, rabbino a Mantova, figlio del disegnatore e libero pensatore Mario, rifugiato in Svizzera per le persecuzioni nazifasciste, il Maestro Gentili è probabilmente noto all’opinione pubblica come avvocato penalista in alcuni processi importanti, come quelli sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli e sulla strage di Piazza Fontana, quello in difesa di Adriano Sofri, quelli in difesa delle vittime delle Fosse Ardeatine e dei familiari dei desaparecidos italiani in Argentina e Cile. Nel 2010 gli è stato conferito anche un riconoscimento da parte della Delegazione delle Associazioni Israelitiche Argentine (DAIA), ed è stato decorato con la "Orden de Mayo" dal Governo argentino.
Lauretosi con Treves all'Università di Milano, la vita professionale lo ha portato nello studio di Giandomenico Pisapia, personalità a lui del tutto complementare. Oggi a dividere con lui lo studio è un giovane e scrupoloso avvocato, Nicola Brigida, mentre la continuità nell’impegno sociale e politico viene garantita dal figlio David, consigliere comunale a Milano; la figlia Chiara, impegnata come psicopedagoga, è invece insegnante come la madre Irene.
Accanto all’impegno civile, dispiegato con costanza e senza cedimenti, il Maestro si è parallelamente dedicato anche all’arte figurativa, esponendo in numerose mostre personali i suoi disegni sui giornali.
Contatti
Piazza 5 Giornate, 1
20129 Milano (MI)
Tel: 02 5519 2069
E-mail: studiolegale.gentilibrigida@hotmail.it
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Sulla vita di Marcello Gentili
di Jorge Ithurburu
Gli esuli argentini a Milano avevano trovato nella Lega Internazionale per i Diritti dei Popoli sia un luogo di accoglienza che un riferimento politico-organizzativo fin dal 1976. Sandro Sessa aveva ricevuto una delega per la costituzione del “Gruppo Esuli e Solidarietà” direttamente dal fondatore della “Lega Internazionale”, il Senatore Lelio Basso, e finita la dittatura il “Gruppo Solidarietà” rimase il punto di riferimento in Italia per le azioni delle “Madres” e delle “Abuelas de Plaza de Mayo”.
Le leggi di “Punto Final” e “Obediencia Debida” determinarono a partire del 1987 l’impunità dei militari e dei poliziotti che avevano sequestrato, torturato e ucciso migliaia di argentini, e tra di essi, centinaia d’italiani e di oriundi. Sessa prese contatto con Pietro Forno e con altri aderenti a Magistratura Democratica. Dopo aver ascoltato il loro parere e d’accordo con le associazioni delle “Madres”, delle “Abuelas” e dei “Familiares”, si intentò in Italia un’azione legale per i “desaparecidos” italiani. Marcello Gentili 1988, si offrì di difendere gratuitamente le famiglie coinvolte in questo dramma e dall’esito di una denuncia da lui presentata nel sortì una comunicazione giudiziaria dalla magistratura italiana verso Videla ed altri quattro alti ufficiali argentini. Si apriva la possibilità di ottenere Giustizia in Italia per le famiglie di tantissimi connazionali emigrati in Argentina.
Conobbi Marcello Gentili in quelle circostanze, anche se già avevo sentito parlare di lui da molti esuli. Era stato l’avvocato della famiglia di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico morto nella Questura di Milano, dopo la strage causata dalla bomba fatta esplodere il 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana. Alcuni lo ricordavano come l’avvocato dei “pentiti e dissociati” negli anni del terrorismo (e per questo condannato a morte dalle Brigate Rosse), altri come l’avvocato delle A.C.L.I. o della “Comunità dell’Isolotto” di Firenze, oppure come uno degli animatori del Cineforum del “Centro San Fedele” o come vecchio militante della sinistra lombardiana del P.S.I..
Meno conosciuta la sua passione per l’arte anche se iniziò ad esporre i suoi disegni fin dal 1991.
I processi sui desaparecidos argentini ci impegnarono fino al 2009, poi venne il Condor e il processo per l’omicidio del sacerdote cileno Omar Venturelli. Durante questi anni ho potuto constatare che tutto quello che si diceva su Gentili era vero, perché lui ha vissuto intensamente il suo tempo e ne è stato sempre protagonista. Suo bisnonno Gioacchino Ravà era stato rabbino a Mantova, suo padre Mario, disegnatore e libero pensatore, non aveva dato al bambino alcuna educazione religiosa, ma la mamma, Irene Giudici, decise di battezzarlo nel 1938, retrodatando la data per salvarlo dalle Leggi razziali. Il padre dovette trovare rifugio in Svizzera a causa delle persecuzioni nazi-fasciste, e così il giovane studente quindicenne partecipò, con la mimetica e il fucile, all’insurrezione del 25 aprile 1945 a Milano nelle fila di “Giustizia e Libertà”.
Nel dopo guerra, l’università e la laurea conseguita con Treves.
La vita professionale lo ha portato allo studio di Giandomenico Pisapia, personalità a lui del tutto complementare. Gentili amava la ricostruzione minuziosa del fatto criminoso e dell’evento storico, mentre Pisapia analizzava e amava sviscerare la procedura, il Diritto.
Nel 1958 il matrimonio con una compagna di liceo, Anna Nistri, e poi la nascita dei figli, Chiara e David.
È probabile che la vita familiare sia stata penalizzata dai continui spostamenti dovuti agli impegni professionali a Roma, a Catanzaro (per Piazza Fontana), a Firenze (Isolotto) e, più recentemente, a Trani. I processi che hanno visto impegnato Gentili hanno segnato il 900 italiano sia nei grandi temi politici che in quelli più quotidiani, per il “vino al metanolo”, ad esempio, che ha cambiato la sensibilità dei consumatori e dei produttori italiani.
Nel 1994 Gentili si mise a disposizioni dei familiari delle vittime delle Fosse Ardeatine e partì insieme ad alcuni di loro per Buenos Aires e per Bariloche, al fine dir ottenere l’estradizione del capitano delle SS Erich Priebke.
Nel 2000 Gentili ottenne che venissero condannati due generali e cinque ufficiali argentini; altri cinque, i responsabili del campo ESMA, vennero condannati nel 2007. Tutte sentenze confermate in Appello e Cassazione. Nel 2010 il Governo argentino conferì a Marcello Gentili l’Orden de Mayo come riconoscimento per aver assistito le famiglie dei “desaparecidos” e per aver insistito affinché l’impunità venisse meno in Argentina.
La vita professionale intanto si modifica, e a dividere lo studio con Gentili è oggi un giovane avvocato, molto scrupoloso, Nicola Brigida; la continuità sull’impegno sociale e politico viene garantita dal figlio David, oggi consigliere comunale a Milano, mentre la figlia Chiara è insegnante, come sua madre Anna. Così l’Avvocato Gentili può concedere sempre più tempo al Maestro Gentili e ai suoi disegni sui giornali.
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I sequestri dei neonati
di Marcello Gentili
Sara Solar Osatinsky
“A giugno partorì la prima che era Susana. Mentre la stavano portando a partorire nel sotterranei lei chiese che l’accompagnasse qualcuno che non fosse uno dei suoi torturatori o dei suoi sequestratori. Quindi chiese che fossi io. Loro accettarono. Ed è proprio a partire da questo momento che le altre lo seppero e cominciarono a chiedere che fossi io la persona che le accompagnasse.
Mentre stava partorendo urlava chiedendo che mi togliessero le catene, perché non sopportava il rumore delle catene. Un momento così importante e pieno d’amore, con quello che poteva significare e viverlo con quel rumore era terribile. Ma non me le tolsero.”
[…]“Le ragazze che stavano lì avevano conosciuto la mia storia, ovvero che mio marito e i miei figli erano stati uccisi; e in qualche modo mi ritenevano la loro mamma. Non soltanto mi ritenevano una mamma, ma la loro mamma."
“Di più di tutte quante che ho avuto a partorire non conosco nessuna che sia uscita in libertà.
Sì, in realtà l’ho vista (la bambina di Susana Pegoraro), e come! E l’ho avuta anche in braccio. Comunque bisogna dire che i parti erano terribili. Sentire proprio l’urlo… sì, era terribile sentire innanzitutto l’urlo del bambino, il pianto quando nasceva e, in contemporanea, l’urlo della mamma: un urlo disperato perché sapeva che gliel’avrebbero poi da lì a poco tolto.”
Munú Actis Goretta
“È un quadro dantesco pensare che io ero una sequestrata che lavoravo lì, che potevo camminare senza il cappuccio per il sotterraneo, mentre un’altra persona veniva trascinata per essere torturata.
Quando nasceva un bambino e mi portavano ad assistere sia la donna che il bambino, allo stesso tempo bisognava fare delle facce del tipo: “Va bene, a me non mi sta succedendo nulla”, perché io ero all’interno di questo processo di recupero.
La nascita di bambini in questo luogo di morte totale, anche per la mia professione di pittrice, mi dava e ancora mi dà quest’immagine di una donna, un corpo giovane dove la cosa più importante è la pancia della gravidanza e un cappuccio in testa; la portano al bagno, la portano nella stanza delle torture, il posto dove la tenevano fino a che non avesse partorito, per me è l’immagine della morte che partorisce vita. Sapevo poi molto probabilmente che questa donna sarebbe stata uccisa e che non avremmo saputo dove questo bambino sarebbe andato a finire.”
Estratto dall'articolo pubblicato in:VITE SENZA CORPI
Memoria, Verità e Giustizia
per i desaparecidos italiani all’ESMA
A cura di
Jorge Ithurburu – Cristiano Colombi
Edizioni Gorée, Siena, 2011
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Le mostre di
disegni sui giornali di
Marcello Gentili
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